lunedì 19 gennaio 2009

Un sorriso che guarisce


Di nuovo un caloroso saluto a tutti gli amici del blog!
Ho preso parte la scorsa settimana ad una formazione per clown terapeuti, venendo a contatto per la prima volta con questo speciale piccolo mondo, fatto di colori, forme reali o immaginarie, porporina e grandi persone, persone eccezionali, che hanno un cuore enorme e che sempre cercano di migliorarsi, per poter portare parte di sé in ambienti molto difficili.
Credo che tutti conosciamo il film Patch Adams, che racconta la storia di Hunter Adams (Washington, 28 maggio 1945), ricostruita dal regista Tom Shadyac. Patch è stato uno dei primi ideatori della terapia clown (o terapia del sorriso), dimostrando all’umanità come l’amore per il prossimo, la gioia dell’altro che diventa anche la nostra gioia, possa essere una cura prima di tutto per i nostri mali. Patch, infatti, da adolescente viene ricoverato in una clinica per malattie mentali, a causa di una forte depressione. E là si accende nella sua mente un piccolo fuocherello, allorchè conosce un altro ragazzo ricoverato e lo aiuta a superare i suoi deliri grazie a un gioco divertente, scoprendo che aiutare gli altri lo rende felice e lo emoziona. Quando esce dalla clinica decide di iscriversi all'universita' di medicina, suo grande sogno, ma vi trova un ambiente freddo, dove viene incoraggiato il distacco dal paziente. La cosa non rispetta il suo stile e il suo modo di intendere le relazioni con gli altri e così diventa una sorta di ribelle: viene bocciato una volta per "eccessiva gaiezza", finchè un tutor universitario gli dice: "se volevi fare il clown dovevi andare a lavorare in un circo". In realtà quello che voleva Patch era conciliare la medicina con la sobrietà del suo utilizzo. Egli cerca, in sostanza, di scoprire come “funzionano i pazienti”, cosa li diverte, li stimola, poiché capisce che realizzare le loro fantasie puo' aumentare l'emissione di endorfine e accelerarne la guarigione. Così inizia a riempie le stanze dell’ospedale di palloncini colorati, ad usare le apparecchiature mediche come giocattoli, a riempire una vasca da bagno di tagliatelle, a girare con un naso rosso da clown, scarpe grandi e vestiti coloratissimi, ad emettere suoni divertenti e, soprattutto, a sorridere in corsia. Patch pensa che solo sviluppando un sano umorismo sia possibile vivere in modo positivo qualsiasi situazione relazionale e questo buon umorismo dovrebbe essere accompagnato dalla cura per la propria meraviglia e curiosità, dalla cura della disponibilità al confronto con chi è diverso da noi e di un ideale di pace. Questi sono gli ingredienti della medicina di Patch.
Hunter Patch Adams continua a girare il mondo, portando la terapia del sorriso nelle missioni e non, dando una lezione di vita, prima che di clowneria, a coloro che lo circondano.
E la cosa straordinaria della terapia del sorriso sta proprio nel fatto che è contagiosa quanto una malattia, una malattia meravilgiosa: una volta che la prendi te la porti dentro e facilmente l’attacchi a chi ti sta attorno, perché il sorriso è quanto di più semplice e terapeutico possiamo pensare relativamente all’esistenza umana. Contemporaneamente (il corso di formazione per clown terapeuti ci aiuta ad accorgerci di questo ancor più di quanto possiamo riuscire a fare da soli) ci rendiamo conto che non siamo più abituati a sorridere veramente, perché viviamo in una società altamente costruita, dove è la finzione che fa arrivare ai traguardi più alti. Così, senza mettere veramente in gioco noi stessi, non cresciamo dentro e i nostri rapporti con gli altri si tramutano in fruizioni, al pari di quando andiamo a comprare una confezione di zucchero al supermercato.
Ma questo bisogno di autenticità si rileva immediatamente: davanti ad “esercizi” di contatto, di improvvisazione…le persone non è raro che si commuovano, o che denuncino di sentirsi rinate interiormente nell’aver riscoperto la bellezza di un rapporto diretto con se stessi e con l’altro.
Diversamente da quanto si pensa, il clown terapeuta è una figura che non passeggia per le corsie di un ospedale per fare ilarità chiassosa, o per travestirsi da sciocca. Egli è diverso dal clown del circo, anche se ne riprende parte della formazione. Il clown terapeuta è una persona che principalmente è clown 24 ore al giorno, quindi non solo nel momento in cui indossa il naso rosso, poiché il naso rosso fa parte del suo modo di vivere. È una figura che sa osservare e ascoltare l’altro e che, sulla base di queste due piccole "stelline", riesce a capire quando e in che modo entrare in contatto con l’altro. Questo poiché, essendo gli ospedali gli ambienti prediletti del suo intervento, si trova a contatto con persone fortemente disagiate e, comunque, con diversi tipi (e gradi) di disagio. Quello che oggi manca, in una società rumorosa e frenetica, è imparare ancora l’arte del silenzio.
Il clown terapeuta è fondamentalmente un
operatore socio-sanitario professionista che applica le proprie conoscenze nei contesti di disagio. Lavora in coppia con un altro clown dottore, utilizzando le arti del clown (vd. umorismo, improvvisazione teatrale, prestidigitazione, marionette, musica, suoni, etc.), ma anche nozioni di psicologia, che migliorino la relazione e la comprensione dello stato altrui. La cooperazione di coppia permette la creazione non solo di un certo affiatamento, ma anche la successiva rielaborazione dei vissuti personali. I clown dottori effettuano solitamente un giro visite per le stanze, intervenendo sugli utenti con un rapporto “uno a uno”, mediante il ricorso ad attività che, nei limiti del possibile, consentano una diminuzione delle emozioni negative. Ogni intervento è totalmente imprevedibile, ben calibrato rispetto alla situazione in cui il clown dottore viene a trovarsi e rispetto ai micro-segnali che gli lancia il paziente. Questo delicato ruolo permette un percepibile miglioramento del clima all'interno di un reparto ospedaliero.
Il contesto operativo del clown dottore spazia dalle attività con bambini a quelle con adulti, anziani, e diversamente abili, inoltre prevede l’intervento in diversi tipi di contesti oltre all’ospedale, ad esempio venendo a contatto con le forme del disagio sociale o scolastico.
Ad oggi lo stato italiano sta, man mano, dando sempre più fiducia alla clown terapia, che sino ad oggi è più che altro stata portata avanti da associazioni svariate, in qualche modo indipendentemente le une dalle altre, le quali curano anche la formazione dei propri clown.

lunedì 29 dicembre 2008

Viaggio Intorno alla Musica, convegno sulla musicoterapia, 3 dicembre 2008, Adria


Cari amici del forum, in preda alle mille cose che si devono fare nel periodo di festività, torno a condividere con voi la discussione solo dopo qualche tempo…
Sperando che abbiate trascorso un gioioso Natale, colgo l’occasione per accennarvi ad un evento al quale ho partecipato recentemente, più precisamente il giorno 3 dicembre, in occasione della presentazione dei lavori conclusivi di musicoterapia, seguiti dalla Ulss 19 di Adria (Rovigo). Il convegno è stato chiamato “ Viaggio Intorno alla Musica” e si è tenuto presso la Sala Caponnetto, adiacente al centro commerciale Il Porto.
La presentazione dei lavori è inizialmente stata fatta dalla dottoressa Maria Chiara Paparella, responsabile del Servizio Handicap adulto e SILD della Ulss di Adria, servizio al quale si collegano progetti di terapia alternativa per disabili, tra i quali quelli di musicoterapica, portati avanti ormai da diversi anni con soddisfazione. La dottoressa, dopo aver illustrato alcuni presupposti dell’iniziativa musicoterapeutica (presente già da qualche tempo nella Ulss locale), ha presentato anche l’equipe multiprofessionale (e vi annuncio con grande gioia che la figura professionale dell’Educatore è già prevista: l’equipe di musicoterapia di Adria ne vanta ben due, entrambe donne).
Sono stati, in seguito, mostrati (più propriamente, animati, riprodotti) dall’equipe e dai ragazzi i lavori svolti durante l’anno.
I destinatari del progetto di musicoterapia di Adria sono rivolti a persone portatrici di disabilità psico-fisiche più o meno gravi, che hanno età molto variabili (si và dai giovani agli adulti). Lo scopo del progetto è permettere, mediante un educazione alla musica e al suono, ai ragazzi di instaurare un migliore rapporto con se stessi e con i propri sensi, oltre che con gli altri. Le attività proposte, infatti, spaziavano dal mimare oggetti in movimento, al riprodurre i loro rumori, sino al fare musica insieme, richiamando temi musicali tipici di diverse culture e Paesi (cinese, indiana d’America, africana, brasiliana…). I risultati sono stati veramente incredibili, soprattutto tenendo conto della oggettiva difficoltà delle musiche. Il presupposto di base è semplice ed estremamente educativo, valido per qualunque uomo sulla Terra: il suono che tu riproduci e che ti impegni a riprodurre meglio che puoi, acquista un senso di completezza solo se associato ai suoni dei tuoi compagni d’orchestra, cosicché si arriva ad essere una cosa sola e nessuno fa per se stesso soltanto.
Gli strumenti sono stati costruiti con materiali riciclati: dai rotoli di carta igienica, alla sabbia, ecc…di volta in volta collaudati, per controllare sempre che il suono emesso rispecchiasse quello che si voleva ottenere.
Hanno fatto parte dell’equipe, per questo tipo di preparazione “tecnica”, oltre che per l’educazione al suono d’ensemble dei ragazzi, anche due musicisti del conservatorio di Adria.
Non solo i ragazzi, ma anche gli “animatori” dell’equipe e i genitori dei ragazzi hanno mostrato grande felicità, ognuno probabilmente portando a casa qualche cosa di diverso che aveva imparato da un anno di vita e di esperienze passate assieme.
Questa giornata è stata un occasione di “riscatto” per i ragazzi disabili, che spesso diventano vittime di paternalismo e di pietismo, in quanto ritenuti sfortunati per la loro condizione di “diversità”. Quello che, nel campo educativo più ampio, si vuole dimostrare è, al contrario, la loro diversità solo apparente: ognuna di queste persone è portatrice di un deficit fisico e/o mentale più o meno grave che, in certi casi, può essere oggettivamente limitante, ma questo non impedisce loro di raggiungere grandi traguardi (ciascuno alla propria portata), di avere alte aspirazioni, di emozionarsi e di diventare guida per il proprio compagno, che magari ha limitazioni maggiori delle proprie. Sostanzialmente, la musicoterapia vuole essere, qui, strumento per poter dare alle persone (disabili e non) la possibilità di educarsi/essere educate in modo alternativo, oltre la sola terapia, oltre la formazione classica, aprendo ulteriori spazi alle possibilità e potenzialità, ai talenti personali.

giovedì 11 dicembre 2008

Le specie animali più diffuse in pet terapia

Le specie animali che non sono state coinvolte nel millenario processo di domesticazione e sono, ad oggi, selvatiche, precauzionalmente dovrebbero essere escluse dalle
pratiche terapeutiche, in quanto potrebbero risentire di una condizione di malessere, data dalla imposizione di uno stretto contatto con l’uomo.

Cane: è l’animale più largamente impiegato come co-terapeuta, sia nella cura di bambini che
di adulti e anziani. Viene ritenuto in grado di sollecitare i meccanismi di interazione, mediante il gioco e l’offerta di compagnia.

Gatto: lo si predilige nei casi di persone che vivono sole e che, a causa della patologia o dell’età, non sono agevolate negli spostamenti.

Criceti e conigli: osservare, accarezzare e prendersi cura di questi animali può arrecare grande
beneficio soprattutto a quei bambini che stanno attraversando una fase difficile della loro crescita.

Cavallo: utilizzato soprattutto per l’ippoterapia, riabilitativa ed educativa,
praticata in strutture attrezzate per mezzo di personale specializzato. A beneficiare dell’ippoterapia sono soprattutto bambini con sindrome autistica, bambini con sindrome di Down, disabili, persone con problemi motori e comportamentali.

Uccelli: studi condotti su gruppi di anziani, hanno rilevato l’effetto benefico derivante dal
prendersi cura abitualmente di uccelli, in particolare pappagalli.

Pesci: è stato evidenziato che l’osservazione dei pesci di un acquario può contribuire a ridurre
la tachicardia e la tensione muscolare, agendo così da antistress.

Delfino: questi animali vengono utilizzati nel trattamento di casi di depressione e di
disordini legati alla sfera emozionale e mentale. La terapia con i delfini può contribuire al miglioramento dello stato psicologico dei pazienti con sindrome autistica, favorendo l’adattamento sociale.

Asini, capre e mucche: in generale, gli animali domestici, in particolare i piccoli mammiferi, sono da preferirsi poiché selezionati, nel corso dei millenni, per interagire emotivamente con l’uomo.


Fonte: Istituto Superiore di Sanità, Rapporti ISTISAN 07/35
Terapie e attività assistite con gli animali: analisi della situazione italiana e proposte di linee guida. A cura di Francesca Cirulli e Enrico Alleva.